Il disagio giovanile è in netto incremento, sono tanti i ragazzi che non dormono, che hanno sbalzi d’umore, hanno paura di fallire, hanno spesso crisi di ansia e pensano di non farcela da soli. Il 20% riferisce di essere in cura da uno psicologo, e c’è anche chi ricorre facilmente all’uso di sostanze per star meglio, infatti, il 10% degli adolescenti assume psicofarmaci come calmanti, antidepressivi o ansiolitici, perché non è in grado di gestire le ansie e le preoccupazioni e si sente agitato o angosciato. I disagi nascono tendenzialmente dalla mancanza di dialogo, da una scarsa comunicazione e da un mancato riconoscimento che genera una profonda solitudine. Sono, infatti, ragazzi che non crescono in un clima di confronto e di accoglienza familiare, ma di conflitto, il 40% di loro dichiara di litigare spesso con i genitori e di vivere in un ambiente familiare pesante.
Vivono in un clima molto preoccupante, mettono in atto comportamenti particolarmente a rischio che li portano ad essere facilmente adescabili, vulnerabili e prede nel web. La metà di loro condivide tutto quello che fa sui social e nelle chat, il 65% dei ragazzi dichiara di aver parlato nelle chat con persone che non conosceva, il 15% accetta l’amicizia sui social network da tutte le persone, comprese quelle che non conosce. Fin dalla prima adolescenza, sono iperconnessi tanto che già dagli 11 anni sono tutti muniti di social network senza avere gli strumenti per tutelarsi da soli e i genitori sono i grandi assenti: l’89% degli adulti non controlla i telefoni dei figli e non conosce le attività che svolgono in rete.
Tra le forme di disagio più diffuse troviamo: il BULLISMO, di cui sono vittime rispettivamente circa 3 adolescenti su 10, il CYBERBULLISMO che coinvolge circa 1 adolescente su 10 e l’AUTOLESIONISMO. Nella fascia di età compresa tra gli 11 e i 13 anni, quasi 2 preadolescenti su 10 dichiarano di aver messo in atto condotte autolesive senza significative differenze tra i due sessi, rispetto a circa il 18% dei ragazzi, tra i 14 e i 19 anni, di cui il 67% sono femmine. I dati più preoccupanti in assoluto sono tre: quasi il 14% lo fa in maniera ripetitiva e sistematica (dato in aumento del 2,5% in un solo anno), l’età media in cui iniziano a farsi del male è pari a 12,8 anni e il 95% dei genitori non si rende conto di quello che succede sotto i loro occhi (Dati Osservatorio Nazionale Adolescenza).
Qual è il ruolo dei genitori e come si dovrebbero comportare?
Il vero problema è che la maggior parte dei genitori non conosce realmente i propri figli, non si fermano ad osservarli nella loro quotidianità, a guardarli dentro gli occhi, si va troppo di fretta e si dà peso a troppi aspetti superficiali, meno interiori come la scuola, il disordine, il rispondere male e magari loro nel mentre soffrono, anche se apparentemente non lo fanno vedere. Se un genitore non sa chi è realmente suo figlio dentro casa, non lo sa quantomeno nel web, uno spazio ancora più lontano che crea un profondo gap tra genitori e figli. Tante volte il genitore ha un metro di giudizio sulla salute del figlio basato prettamente sul rendimento scolastico o sulle modalità di interazione in casa, quindi se il ragazzo è tranquillo, non crea problemi a casa e a scuola, ha buoni voti, tutto rientra nella normalità. Purtroppo non è così, ed è fondamentale non cadere in questo errore, perché si possono celare delle problematiche più profonde, anche se non ci troviamo di fronte a segnali macroscopici e ad un apparente benessere del figlio.
Non conoscendo i ragazzi nella quotidianità, non si riesce a cogliere precocemente quando è presente un segnale di disagio, perché lo manifestano proprio lì, nei cambiamenti delle loro abitudini e ciò che fanno in casa e fuori casa, anche attraverso dei piccoli cambiamenti nel comportamento, come ad esempio un’abitudine alimentare, la modalità di vestirsi, abitudini del sonno, delle argomentazioni delle loro conversazioni o contenuti sul diario dei loro profili social.
Per tale ragione bisogna imparare a guardarli in tutto quello che fanno, senza critiche né giudizi che li inibiscono e li portano solo a chiudersi maggiormente nel loro mondo e, soprattutto, non facendo l’errore di attribuire tutto alle problematiche adolescenziali. Se diamo poco valore a quello che fanno, considerando questa generazione come senza valori e priva di punti di riferimento, significa sottovalutare i loro problemi e i loro segnali, perché in mezzo a tanti comportamenti tipici adolescenziali ci sono anche tanti disagi e comunicazioni velate di malessere esistenziale.
Il contesto globale è cambiato, così come il senso della famiglia, sempre più disgregata e meno efficace, proprio per questo diventa basilare una collaborazione attiva tra famiglia, scuola e attività extrascolastiche, oggi sempre più difficile da realizzare perché si preferisce scaricare le responsabilità sull’altro.
La realtà è che siamo noi adulti che dobbiamo allinearci ai ragazzi, e non viceversa, perché loro sono completamente diversi da noi, c’è un gap intergenerazionale insanabile, hanno cambiato l’organizzazione del pensiero, le modalità di interazione e di apprendimento cognitivo ed emotivo. La realtà adolescenziale di oggi è totalmente diversa e gli interventi si devono modellare in base a questi cambiamenti: non hanno bisogno della favoletta, di chi gli dice cosa devono e non devono fare perché fumare fa male e non si devono accettare le caramelle dagli sconosciuti perché hanno internet che li espone fin da bambini ad una adultizzazione precoce da alcuni punti di vista e ad una mancanza di autonomia psichica dall’altra e ad un confronto costante e continuativo con ciò che vuole essere fatto vedere loro del mondo.
Gli adolescenti ormai interrogano prof. Internet che risponde ad ogni loro domanda, peccato però che non abbiano ancora sviluppato un senso critico tale da poter valutare i contenuti offerti della rete e che sia fortemente condizionabili ed in balia delle fake news e dei manipolatori mentali.
Non ci si deve approcciare all’adolescenza di oggi pensando alla propria adolescenza e ai tempi passati, dicendo “noi non eravamo così”, continuando a fare i raffronti con un’epoca che ormai è distante da tutto quello che accade oggi. Esiste un gap insanabile tra una generazione e l’altra, l’evoluzione cammina troppo velocemente, per cui anche i ragazzi stessi hanno difficoltà ad adattarsi, ma sicuramente lo fanno con molta più velocità rispetto a noi adulti. E’ una rincorsa continua e nella rincorsa, gli adulti di riferimento, non riescono quasi mai a prenderli, se non quando cadono e si fanno male, mentre dovrebbe essere il contrario, ovvero, l’adulto deve rimanere una guida per un figlio. Se non si riesce più a ricoprire questo ruolo li perdiamo, perché vanno avanti da soli rischiando di incagliarsi nei pericoli della rete che troppe volte non siamo neanche in grado di riconoscere.
Se comprendiamo che alla base c’è un cambiamento strutturale dei ragazzi, allora riusciamo a parlare e ad interagire con loro in maniera più efficace, creando una rete comune. Se ognuno di noi parla una lingua diversa e andiamo da loro parlando tante lingue diverse, non gli arriva assolutamente niente delle nostre comunicazioni e continueranno a navigare e naufragare nel loro mare sotto i nostri occhi.
fonte: L’Espresso