di Asia Grigis
“Tutto ciò che è fatto per amore è sempre al di là del bene e del male”.
(Friedrich Nietzsche)
“Bambini, cibo e famiglia. Difficoltà e risorse” è stato un incontro andato in onda sulla pagina Facebook del Bucaneve ODV che mi ha permesso di presentare non solo il mio questionario e la sua strutturazione, ma anche alcuni dati che ne sono emersi; il fine ultimo era quello di trattare il tema del rapporto tra bambini e alimentazione e offrire spunti di riflessione per famiglie e non solo. L’evento, che ha avuto una durata di un’ora e un quarto circa, ha visto la partecipazione anche della Dott.ssa Stefania Lanaro e della presidentessa dell’associazione Maria Grazia Giannini, le quali mi hanno aiutato nella mia esposizione trattando il tema del rapporto genitori-figli e bambini-cibo. L’incontro è disponibile al seguente link: https://youtu.be/iwZKOr9Wy6Y.
L’organizzazione dell’esposizione ha previsto una parte inziale di inquadramento generale, la trattazione del questionario e infine la considerazione del rapporto tra genitori e figli con conclusioni ulteriori su ciò che le domande avevano fatto emergere riguardo al momento del pasto.
In particolar modo, Maria Grazia Giannini ha ribadito come il rapporto che il bambino instaura con il cibo partendo dagli insegnamenti famigliari può influenzare la crescita successiva e la modalità di approccio agli alimenti. Nello specifico, viene affermato che “l’educazione impartita dai genitori in questo senso potrà avere un ruolo decisivo nella reale comparsa o meno del disturbo. Sappiamo bene che nutrire un bambino rappresenta un’importante forma di comunicazione tra i genitori e figli, importantissima per il suo sviluppo”[1]. Sancendo l’importanza della relazione genitori-figli anche nel momento della nutrizione deriva che, come afferma ancora la Giannini, sarebbe allora auspicabile che nella realtà di un servizio ospedaliero e non solo i professionisti della salute fossero consapevoli che i bambini a rischio non sono più solo quelli che effettivamente “cadono” dalla curva di crescita, ma anche coloro che sono figli di genitori affetti da disturbi del comportamento alimentare o quelli i cui famigliari mostrano una persistente difficoltà a dar loro da mangiare. È per questo che, come affermano Davies e colleghi, è meglio definire i DCA come disturbi relazionali e non solamente prettamente fisici. Tali affermazioni risultano essere concordi con il filo conduttore di questo elaborato di tesi, ribadendo ancora una volta l’importante aspetto relazionale che attraversa trasversalmente tutti i disturbi del comportamento alimentare: quest’ultimo quindi, per una presa in carico che sia il più globale possibile, non può essere dimenticato.
Affermare che i bambini a rischio devono essere considerati anche coloro che sono figli di soggetti affetti da DCA o di chi non riesce ad instaurare in maniera persistente una corretta relazione al momento del pasto significa porre un’importante accento su quella che è l’educazione famigliare e su come il momento dedicato al cibo viene gestito. Come affermato da Stefania Lanaro e da Maria Grazia Giannini nel corso dell’incontro, seppur in letteratura non si trovino ancora statistiche valide riguardo ad una correlazione genetica del disturbo, si può fare questo tipo di ragionamento: il rapporto che i figli di soggetti affetti da DCA instaurano con il cibo, proprio a causa del disturbo genitoriale, non potrà non essere viziato dalla visione del famigliare, ma anzi risulterà essere guidato dalle idee, dai pregiudizi e dai “no” imposti dagli adulti. Ritengo emblematica in tal senso la frase presa dal web e riportata dalla Dott.ssa Lanaro “osservo bambini […] che non sanno desiderare perché il loro desiderio è soffocato dal desiderio dell’adulto”. Diventa quindi necessario che il genitore sia adeguatamente formato e informato anche riguardo alla tematica dell’alimentazione per permettere lo sviluppo libero del bambino; naturalmente, se questo non avviene, è ovvio che ci si trova di fronte a piccoli che non hanno una visione globale della realtà, bensì una veicolata dai pensieri genitoriali ed è qui che bisogna intervenire. Come ricorda Laura Dalla Ragione, è dunque necessario, per vivere con gli altri, conservare delle distanze, creare degli intervalli, perché la prossimità e la vicinanza con l’altro non degeneri e perché la presenza dell’altro non invada lo spazio personale[2].
Come più volte sottolineato durante l’incontro, è indubbio che non si vuole cercare una colpa nella famiglia, in quanto una delle principali risorse del soggetto, ma semplicemente si vorrebbero offrire degli spunti di riflessione per auspicare ad una sempre maggiore considerazione dei disturbi del comportamento alimentare, e delle patologie psichiatriche in generale, lontana dallo stigma a cui invece ancora troppo spesso sono legati. L’intervento della Dott.ssa Lanaro è stato particolarmente importante in tal senso.
Spunti di riflessione, come ribadito anche in precedenza, volevano essere anche i dati derivati dall’analisi del questionario e osservati durante l’incontro. Ciò che è stato riportato è risultato essere una sintesi del paragrafo 3.2 di questo elaborato di tesi (i dati ottenuti).
Complessivamente credo di potermi ritenere soddisfatta di come è andata questa esperienza perché mi ha permesso non solo di presentare il mio lavoro e di venire ancora di più a contatto con la realtà dell’associazione “Il Bucaneve”, ma anche di svolgere, nel mio piccolo, un lavoro di prevenzione e di educazione, come riportato dal titolo della tesi.
Fornire spunti di riflessione e dati derivati da statistiche o da ciò che la letteratura insegna, infatti, permette di invitare a sviluppare un occhio più attento nei confronti di determinati comportamenti o abitudini messe in atto. Infatti, il fatto che la famiglia sia sempre più educata anche all’importanza della relazione con il cibo e che al contempo la scuola cerchi di organizzare interventi volti ad insegnare il corretto rapporto con gli alimenti permette, da un lato, di accorgersi dell’eventuale esordio di un comportamento disfunzionale (e quindi correggerlo tempestivamente per prevenire problemi futuri), mentre dall’altro lato, se la problematica si è già incistata, è fondamentale per garantire un intervento precoce. È ovvio che prima si interviene maggiori sono le possibilità di successo ed è altrettanto sicuro che per intervenire precocemente è necessario essere formati a riconoscere eventuali segnali d’allarme.
4.2 “Il Bucaneve ODV”: la realtà di un servizio di volontariato per i disturbi del comportamento alimentare
Parlando di prevenzione e educazione in riferimento ai disturbi del comportamento alimentare ritengo doverosa una breve analisi della realtà di un’associazione di volontario che ha proprio questo scopo, ovvero “Il Bucaneve ODV”. Come si evince dal sito internet, l’associazione è stata costituita il 16 gennaio 2012 come prosecuzione di un cammino iniziato con l’apertura del sito “Dalla parte di noi… genitori” e la pubblicazione del libro “Come in un quadro di Magritte” di Maria Grazia Giannini, attuale presidentessa del Bucaneve[3]. Il suo scopo, a causa della frequenza sempre maggiore della comparsa dei DCA e dell’abbassamento attuale dell’età di esordio, è quello di ascoltare, supportare e orientare tutte le persone e le famiglie che vivono una condizione di disagio legata a tale psicopatologia; il fine ultimo è quello di garantire la migliore strategia per una presa in carico efficace che sia volta ad aiutare ad uscire dal disagio il maggior numero di persone possibili. Attraverso la pubblicazione di libri e articoli, l’organizzazione di conferenze e di incontri online, “Il Bucaneve” si propone, inoltre, di informare e formare riguardo la tematica dei disturbi del comportamento alimentare in modo da svolgere un lavoro di prevenzione primaria direttamente sul territorio e tra le famiglie interessate.
La stesura di questo elaborato di tesi ha permesso di sottolineare l’importanza dell’aspetto relazionale che trasversalmente attraversa i disturbi del comportamento alimentare: in particolare è risultata essere qui rilevante la relazione genitori-figli calata nel momento del pasto. Si voleva quindi dimostrare come comportamenti messi in atto dai bambini e la relativa risposta da parte delle figure genitoriali potessero influenzare il successivo rapporto con il cibo e con il momento dedicato all’alimentazione. In particolare, grazie al questionario “Il rapporto tra lo stile alimentare e i bambini in età scolare” si sono potute mettere in evidenza delle abitudini e dei comportamenti che potrebbero essere considerati dei campanelli d’allarme o che, in un’ottica meno orientata alla problematica, potrebbero diventare spunto per una riflessione più accurata riguardo al modo in cui i bambini vengono approcciati al cibo. È ovvio, infatti, che la relazione che questi ultimi instaurano con gli alimenti riflette ciò che è stato imparato all’interno del nucleo famigliare, ma non bisogna dimenticare che i bimbi, anche già in età scolare, possono sviluppare dei loro pensieri e delle loro convinzioni riguardo al cibo che, nel caso fossero indici della nascita di un rapporto inadeguato, dovrebbero essere corretti.
Ciò che mi ha colpito in modo particolare tra quello che è emerso dal questionario riguarda il fatto che dei comportamenti che potrebbero essere considerati dei campanelli d’allarme si possono ritrovare nella gran parte delle famiglie che si potrebbero definire comunemente “normali” (previa considerazione della condizione personale). Questo non significa affermare che nel tempo si andrà incontro allo sviluppo sicuro di un disturbo del comportamento alimentare, ma fa capire come il rapporto instaurato con il cibo non è sempre semplice e scontato. Anch’esso, infatti, riflette pensieri, abitudini, convinzioni, educazioni, nonché emozioni del singolo soggetto e tutti questi sono aspetti che devono essere tenuti in considerazione. Si può dire quindi che, a discapito del relativo scarso interesse che è emerso dal questionario, il tema dell’alimentazione non può più essere considerato accessorio o marginale, ma anzi anch’esso gioca un ruolo fondamentale nello sviluppo del soggetto. In questo contesto, il tecnico della riabilitazione psichiatrica, da un lato, può promuovere un importante progetto di prevenzione primaria non solo dei disturbi del comportamento alimentare conclamati, ma anche nei confronti dei comportamenti e delle abitudini che, come detto precedentemente, potrebbero essere considerati dei campanelli d’allarme; dall’altro lato, in quanto facilitatore della relazione terapeutica, può aiutare in prima persona la famiglia ad instaurare un corretto rapporto con il cibo, ad affrontare le emozioni e i sentimenti che scaturiscono dall’esordio di una problematica, oppure a favorire un’innovazione delle abitudini alimentari.
[1] Maria Grazia Giannini, “Bambini, cibo e famiglia. Difficoltà e risorse”, 20 settembre 2021.
[2] “Le mani in pasta: riconoscere e curare il disturbo selettivo dell’alimentazione in infanzia e prima adolescenza”. Laura Dalla Ragione, Paola Antonelli (a cura di). Il pensiero scientifico editore, 2018.
[3] https://www.assilbucaneve.it/.