«In 10 anni di diete sono ingrassata 30 kg» Ecco perché i regimi dimagranti falliscono
Stare a stecchetto un mese per la prova costume può essere l’inizio di una spirale sbagliata che (a lungo termine) porta il peso ad aumentare sempre di più. Il famigerato effetto «yo-yo» esiste ed è dovuto proprio ai continui regimi dimagranti spesso sbilanciati.
La storia
Questa di Francesca (nome di fantasia) è una storia vera. Per lei inizia tutto con una semplice, quasi «banale», dieta dimagrante: dopo il parto della prima figlia, a 32 anni, dal suo peso-forma di 55 kg per 165 cm di altezza (Body Mass Index 20.2, quindi normopeso) si ritrova a 72 kg (Bmi 26.4, cioè sovrappeso). Per fare in fretta, dato che l’estate è alle porte, decide di seguire un regime alimentare «di moda, che usano moltissimi divi di Hollywood». Mascherata con nomi più o meno esotici, altro non è che la classica dieta iperproteica sbilanciata: a colazione, caffè nero senza zucchero e una tisana «drenante»; a pranzo e cena, abbondanti proteine animali (ad esempio una bistecca di manzo da 250 g, oppure un petto di pollo alla griglia sempre da 250 g, o ancora un filetto di merluzzo da 350 g) e verdura scondita, un bicchierone di acqua e limone «che scioglie i grassi, come il limone che mettono nel detersivo per i piatti», confessa timidamente. All’inizio, il risultato è rapido ed entusiasmante: dopo solo un mese perde 12 kg, nonostante piccoli acciacchi che accusa da subito (stanchezza, mal di testa, stitichezza, alitosi e, soprattutto, sbalzi d’umore). Molto meno incoraggiante dopo i primi tre mesi, quando Francesca è alla vigilia delle vacanze: comincia ad accusare «strane voglie» per tutti i cibi che si è proibita e il peso risale di qualche chilo fino a 65. Durante le vacanze, piano piano, il peso continua a salire, per poi esplodere verso dicembre dello stesso anno, arrivando fino a 78 kg (Bmi 28.7, cioè sovrappeso). Negli anni successivi prova svariate diete, più o meno ipocaloriche e più o meno iperproteiche, quasi sempre troppo squilibrate. L’andamento è sempre a «yo yo»: rapide perdite e altrettanto rapidi recuperi di peso «con gli interessi», come dice lei, fino (a 42 anni) a una condizione di aperta obesità (85 kg, Bmi 31.2).
Mal comune…
Francesca è un caso emblematico. È una persona che non ha (dapprima) gravi problemi di peso (obesità) o disturbi alimentari, non ha patologie che richiedono di seguire un regime alimentare rigoroso (come diabete, ma anche celiachia): vuole semplicemente «recuperare (e mantenere) il peso forma». Rappresenta insomma buona parte della popolazione dei Paesi occidentali: persone periodicamente in lotta con la bilancia che tentano le diete più disparate (e di moda in quel momento) con scarsi (o pessimi) risultati a lungo termine. Alzi la mano chi non ci è «cascato» almeno una volta nella vita, magari a gennaio dopo le feste. Molti studi sulla perdita di peso indicano che la maggior parte delle persone riacquista tutti i chili persi e più di due terzi ne guadagna ulteriormente. Perché accade? Il diffuso stato di «dieta cronica» influenza la psicologia cambiando per sempre il rapporto con il cibo, ad esempio amplificando la tendenza alle abbuffate; ma anche il fisico subisce cambiamenti che si porterà appresso per lungo tempo, basti pensare alla prima (e non unica) «risposta» dell’organismo alla restrizione calorica: il rallentamento del metabolismo. Qualcosa non funziona in questi programmi dimagranti. Ed è proprio lo «stare a dieta» quel che non va. Ecco perché.
Cambiamenti a breve termine
Le diete più in voga (quindi non bilanciate sulla persona con l’aiuto di un nutrizionista) implicano soprattutto cambiamenti a breve termine, il che equivale anche a risultati a breve termine. La chiave per la perdita di peso è invece l’adozione di uno stile alimentare sano, gradevole e sostenibile a lungo termine. La ricetta in poche parole è: capire quali alimenti è bene mangiare di più, limitare le porzioni per tutti gli altri e non tagliare interi gruppi alimentari (come capita spesso, ad esempio con i carboidrati).
Metabolismo rallentato
Il sistema di regolazione del peso del cervello considera il peso da cui si parte come quello corretto, indipendentemente dal fatto che il medico sia d’accordo. Se qualcuno inizia a 100 chilogrammi e scende a 60, il cervello «dichiara» uno stato di «emergenza carestia» e usa tutti i mezzi che ha a disposizione per riportare il peso alla «normalità»: di solito rallentando il metabolismo e facendo in modo di consumare meno per trattenere più sostanze nutritive.
L’alimentazione «emotiva»
Tutti, prima o poi nella vita, sperimentano l’alimentazione «emotiva» e per alcuni diventa la norma: significa mangiare qualcosa non sulla base di un bisogno nutrizionale e neanche sulla base di un bisogno gastronomico (ricerca di gusto), bensì alla ricerca di un effetto antistress, cioè usare il cibo contro emozioni negative come noia, rabbia, tristezza o delusione. Di fronte a un problema di alimentazione «emotiva» il classico schema dietetico non solo non è efficace, ma spesso è controindicato perché rischia di aumentare il numero di episodi di abbuffata.
Troppi pochi grassi
Molte diete prescrivono, erroneamente, una drastica riduzione dei grassi. Il problema è che senza grassi ci si sente meno sazi e, soprattutto, si è più ossessionati dagli alimenti che non è concesso mangiare, quindi più a rischio di recuperare i chili persi.
Cibo come incombenza «da togliersi»
Ai pazienti si insegna che il modo migliore per saziarsi a lungo è «saziare» i sensi preparandosi un pasto con le proprie mani, considerando il cibo come fonte di piacere e scambio. Non a caso spesso, dopo aver cucinato qualcosa, capita di sentirsi meno affamati.
«Magro» non vuol dire per forza «sano»
Lo scopo di una dieta è raggiungere peso inferiore il più rapidamente possibile, il che è praticamente impossibile da farsi senza compromettere anche in parte la salute. Basta chiedere come stanno le persone che fanno drastiche diete iperproteiche: dopo un’euforica fase iniziale, cominciano a sentirsi cronicamente affaticate, con umore instabile e «un cattivo sapore in bocca».
Fonte di stress
Un cervello a dieta troppo stretta funziona male: pensa troppo al cibo, fa fatica a rimanere lucido e concentrato. Ricordiamo però che è anche vero il contrario: un cervello sovraccarico di cibo-spazzatura funziona male nello stesso identico modo. Aiutiamo quindi il nostro cervello a ritrovare un punto di equilibrio.
Una connotazione negativa
La parola stessa «dieta» fa venire in mente un piatto di insalata scondito, oppure qualcuno che a una festa di compleanno vorrebbe una fetta di torta ma non può averla. Nella nostra società, la parola ha ormai assunto una connotazione negativa. Non dimentichiamo, invece, che il significato originario, da riscoprire, della parola «dieta» è «stile di vita» in generale: quindi non indica soltanto che cosa si mangia, ma anche quanto ci si muove, quanto e come si dorme, quante relazioni interpersonali soddisfacenti possiamo annoverare.
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