Associazione che si occupa di disturbi del comportamento alimentare e violenza di genere.

“L’anoressia è una malattia, non una scelta. Ma per queste ragazze una foto con il sondino è una vittoria”

GLI SCHERMI di Pc e smartphone per i ragazzi possono essere una finestra sul mondo, ma possono diventare anche una cella che imprigiona ogni volta che la porta della cameretta si chiude. Un clic separa migliaia di giovani da una realtà dove per dimagrire si può fare di tutto, dove i genitori sono esclusi e i coetanei suggeriscono sistemi di controllo del peso efficaci e pericolosissimi. Siamo nel mondo delle comunità Pro Ana e Pro-Mia (pro bulimia), dove migliaia di adolescenti, ma non solo, si buttano alla ricerca di consigli per dimagrire, digiunare, vomitare. Ma anche per cercare qualcuno con lo stesso problema, nella speranza di non sentirsi più soli.

Solo in Italia sono 300mila i portali che inneggiano all’anoressia come stile di vita, un numero sconcertante: uno ogni dieci ragazze tra i 10 e i 19 anni. La chiusura, decisa oggi, di uno di questi blog da parte della Procura di Ivrea è meno della punta di un iceberg di un mondo fatto di modelli di magrezza eccessiva, vanità, imitazione e, non dimentichiamolo, di malattia. Di cui le ragazze non sono consapevoli, anzi tutt’altro. A spiegarlo è Laura Dalla Ragione, responsabile dei centri per la cura dei disturbi alimentari Palazzo Francisci e Nido delle Rondini di Todi.

Da qualche anno abbiamo scoperto l’esistenza di siti che supportano l’anoressia e la bulimia, da chi sono gestiti?
C’è una persona in solitaria che “incita” all’anoressia perché lei medesima è convinta, come tutte le pazienti, di non essere malata. Le pazienti nella fase conclamata del disturbo sono convinte che la loro sia una scelta estetica compiuta in totale libertà: si vuole essere magri e tutti quelli che si oppongono, compresi i genitori, sono stronzi. Per questo il sito tipico mostra immagini per esempio di una donna che pesa 200kg e sotto scrive: “attenzione i vostri genitori vogliono farvi diventare così. Non li ascoltate”. E poi l’imitazione della bulimia: circa il 90% delle pazienti dichiara di aver imparato a vomitare su Internet.

Perché si sente il bisogno di aprire un blog o un account legato alla malattia?
Per misurarsi tra loro, confrontarsi e sostenersi. Chi c’è dietro questi siti non vuole far ammalare altre persone.

Qual è la portata del fenomeno?
È una realtà più diffusa di quello che immaginiamo. Si tratta di un rete di circa 300mila siti cui bisognerebbe aggiungere gli account dei social network. Come sappiamo la caratteristica principale è di inneggiare all’anoressia e alla bulimia come scelta di vita, non trattandole quindi per quello che sono: una malattia. Viene venerata la magrezza e tutti i sistemi per dimagrire sono consentiti: dall’uso di sostanze al digiuno. Tutte le ragazze che sono qui a Palazzo Francisci di Todi, o in cura in day hospital, hanno visitato siti pro anoressia, in genere in età molto bassa: circa 12-13 anni.  

Ha parlato anche di social network. Che funzione hanno all’interno della malattia?
Ne appagano il lato esibizionista. Si postano foto di magrezza estrema, di solito foto delle ossa e di autolesionismo, cioè di ferite, spesso ancora sanguinanti, che le pazienti si provocano più o meno in superficie. E’ un disturbo di cui soffre circa il 90% delle persone affette da un Dca. Addirittura postano immagini di quando sono ricoverate con il sondino nasogastrico o con la flebo. Quello per loro è il trionfo, è il top della magrezza. Un traguardo che va mostrato e condiviso.  

È capitato che qualcuno accedesse a siti pro anoressia o continuasse a postare foto durante la degenza nei centri per il trattamento dei Dca che gestisce?
Sì, certo, è accaduto.

E come vi approcciate al problema? Non vietate internet durante la cura?
Assolutamente non vietiamo internet. Anche perché oltre ai pazienti del centro ce ne sono tanti altri in cura che non risiedono qui e che sarebbe impossibile controllare. Durante il ricovero i pazienti possono usare computer o telefono dalle 20 in poi. Prima di questo orario è vietato, anche perché sono impegnati nelle diverse attività che organizziamo qui al centro. Quello che facciamo è organizzare dei corsi per insegnare un corretto utilizzo dei social network. Noi usiamo molto questi strumenti perché ormai sono diventati i principali mezzi di comunicazione. Ciò che accade su internet lo vediamo in tempo reale e a modo nostro cerchiamo di intervenire. Questi siti vanno contrastati da dentro la rete.

In che modo?
Presidiando il web, essendoci. Abbiamo aperto un numero verde attivo tutti i giorni h24. Se si sta sulla rete è possibile farsi trovare. Poi c’è l’attività svolta dalle associazioni, girano su internet e denunciano ciò che non va bene.

E’ possibile immaginare la figura di un web terapeuta?
Esiste. È stato creato con Timshell, un progetto avviato nel 2007 dal ministero della salute e gestito dall’ospedale pediatrico Bambin Gesù di Roma. Prevedeva che un terapista entrasse in questi siti spacciandosi come una persona malata per uscire solo infine allo scoperto. Ma è finito presto perché sono finiti i fondi.

Come possiamo contrastare questo fenomeno? Lo scorso inverno era stata proposta una legge per punire chi gestisce i blog o i siti ipotizzando il reato di incitazione all’anoressia. Cosa ne pensa?
La proposta di legge portata avanti da alcuni parlamentari sulla punibilità di chi gestisce siti pro anoressia ha scatenato diverse polemiche: molti di questi siti sono gestiti da pazienti, per cui  ti trovi di fronte a persone malate che devono essere curate e non punite. È chiaro che dobbiamo correre ai ripari almeno sull’aspetto dell’incitamento, ma il Ddl che era stato proposto seguendo l’esempio francese, non distingue tra questi blog, che sono più che altro una valvola di sfogo, e quelli dietro cui, in realtà, si nascondono aziende che tentano di promuovere i propri prodotti o servizi. Nonostante questo limite, una normativa va inserita perché parliamo di una malattia che provoca morte: è la prima causa nella fascia femminile tra i 12 e i 25.

Quindi in alcuni casi c’è un mercato dietro?
Sì, c’è un mercato nascosto. Sono siti che come ho detto vendono prodotti e servizi legati all’industria della dieta che non nominano direttamente l’anoressia. Se lo facessero verrebbero chiusi e puniti, sarebbe troppo semplice per chi cerca di contrastare il fenomeno. In prevalenza trattano di diete. Purtroppo sono la punta di un iceberg perché in rete ci sono altrettante realtà che non sono siti ma inneggiano ugualmente alla magrezza: come la polemica uscita tempo fa da Stella McCartey che ha pubblicato la foto di una sua modella magrissima, chiaramente anoressica. O la campagna di Victoria Secret “cerca il tuo corpo perfetto”.

Fonte La Repubblica.it