Nell’ultimo periodo i media ci hanno fatto conoscere dei dati sconcertanti sulle nuove abitudini di una parte considerevole di concittadini: ben sei milioni di italiani consumano cibi per celiaci senza averne alcun bisogno nell’errata convinzione che si tratti di uno stile alimentare più sano e che aiuti a restare in forma più facilmente. Gli studi dei colleghi medici di famiglia sono letteralmente assediati da torme di pazienti che richiedono costose ed inutili analisi che attestino le intolleranze più strane: lo stigma di celiaco non si può più negare a nessuno!
Il Presidente dell’Associazione Italiana Celiachia, Giuseppe Di Fabio ha recentemente dichiarato che ”Oggi milioni di persone scelgono di eliminare il glutine dalla propria dieta per seguire la moda del momento, un’idea rafforzata dai sempre più numerosi personaggi noti, non celiaci, che seguono la dieta gluten-free e lo dichiarano pubblicamente nell’erronea convinzione che garantisca un maggior benessere o che faccia dimagrire”.
Si calcola che a fronte di questo esercito di finti malati, ma su questa definizione ritorneremo poiché queste persone soffrono di altro, la prevalenza della celiachia nella popolazione non superi l’1%, che il numero teorico di celiaci in Italia si aggiri intorno ai 600.000, a fronte di 182.858 effettivamente diagnosticati, come risultano dall’ultima relazione annuale al Parlamento, presentata del 2016.
Nessuna ricerca ha finora dimostrato qualsivoglia effetto benefico per i non celiaci nell’alimentarsi senza glutine, anzi. Gli studi scientifici stanno ampiamente dimostrando che in chi non è celiaco l’esclusione del glutine non solo è totalmente inutile, ma può essere dannosa. Non di meno le industrie del gluten-free pompano il fenomeno: I celiaci “per moda”, oltre a seguire una dieta inappropriata, sprecano inutilmente ogni anno oltre 100 milioni di euro: infatti, secondo i dati Nielsen diffusi dall’Associazione italiana celiachia (Aic), ogni anno in Italia si spendono 320 milioni di euro per l’acquisto di prodotti senza glutine, ma di questi solo 215 derivano dagli alimenti erogati per la terapia di pazienti realmente celiaci, per i quali, ricordiamolo, questa dieta ha valenze altamente terapeutiche.
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Conseguenze di un uso incongruo ed immotivato dell’alimentazione priva di glutine
In un lavoro presentato dai ricercatori dell’Instituto de Investigación Sanitaria La Fe in Spagna 1 sono finiti sotto accusa gli alimenti per celiaci utilizzati da soggetti sani, bocciati nel confronto con gli omologhi alimenti con glutine. Gli autori hanno confrontato 654 diversi cibi gluten free con prodotti normali e dall’analisi comparata dei due gruppi di alimenti è emerso che, tanto per fare uno tra i tanti esempi, il pane risulti avere una concentrazione di grassi doppia rispetto a quello normale e un contenuto di proteine da due a tre volte inferiore. Anche i biscotti gluten-free presentano più grassi e meno proteine rispetto a quelli normali, mentre per quanto riguarda la pasta, quella per celiaci ha meno proteine di quella convenzionale. Tutto ciò può ovviamente portare, paradossalmente, a un impoverimento dietetico e ad un aumento di peso nei soggetti non celiaci.
In un altro studio pubblicato dal British Medical Journal, dal titolo “Long term gluten consumption in adults without celiac disease and risk of coronary heart disease: prospective cohort study” eseguito da Benjamin Lebwohl e coll., su oltre 100.000 soggetti, gli autori hanno stabilito che il consumo di glutine non è in alcun modo associato a un aumento del rischio per le malattie cardiovascolari, mentre al contrario il consumo di alimenti gluten free può esserlo, anche solo per la sottrazione alla dieta di fibre, efficaci agenti di prevenzione cardiovascolare. Conclusione testuale degli Autori: “The promotion of gluten-free diets among people without celiac disease should not be encouraged”.
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Interpretazione psicodinamica del fenomeno delle “intolleranze per moda”
Cosa è che spinge sei milioni di persone ad una condotta così irrazionale?
Chi si occupa di psicopatologia non avrà difficoltà alcuna a ravvisare in questa bizzarra moda una condotta da evitamento dell’oggetto fobico, in altri termini una inclinazione fobica, mascherata da una sistematizzazione ideologica.
Dobbiamo allora partire, per cercare di capire il fenomeno, dalla definizione di fobia.
Il termine fobia (dal greco φόβος, “panico, paura”) indica un’irrazionale e persistente paura e repulsione verso certe situazioni, oggetti, attività, animali o persone, e finalmente, aggiungiamo, aggiornandoci, alimenti, che può, nei casi più gravi limitare l’autonomia del soggetto.
La fobia non è una forma nosologica a sé stante, potendo manifestarsi in diverse forme cliniche, come la nevrosi ossessiva, o l’isteria d’angoscia.
A mio parere quando il meccanismo dello spostamento è preponderante e lo è anche la valenza simbolica dell’oggetto fobico ci si situa più sul versante dell’isteria d’angoscia mentre quando i rituali e le preoccupazioni rispetto al mangiar sano sono in primo piano è interessato l’asse ossessivo-compulsivo.
Vediamo con l’ausilio di un caso clinico la ricostruzione in seduta di una forma vicina all’isteria d’angoscia.
In questo caso viene utilizzato il meccanismo difensivo dello spostamento definito da Laplanche e Pontalis come un “…trasferimento dell’accento, dell’interesse, dell’intensità di una rappresentazione da questa ad altre rappresentazioni originariamente poco intense, collegate alla prima da una catena associativa”.
E’ appunto il caso di una signora che aveva progressivamente sviluppato un’idiosincrasia totale per la frutta, soprattutto per le pesche con buccia vellutata, con cui non poteva entrare nemmeno in contatto visivo. I medici avevano parlato di allergia fin dalla sua infanzia, ma con le moderne metodiche immunologiche si erano dovuti arrendere all’evidenza che non solo non vi fosse una situazione allergica, ma nemmeno quella che oggi viene definita intolleranza. La svolta del caso avvenne durante l’analisi di una foto che mostrava la madre dell’analizzata mentre la alimentava con un cucchiaino. L’osservazione del dettaglio iconico fatto con l’ausilio di lenti di ingrandimento progressivo, fece recuperare alla signora tutta l’aggressività derivante dall’interazione con una madre falsamente presente, una specie di sacco vuoto che come un’automa aveva iniziato lo svezzamento con frutta dopo un periodo in cui la bambina era stata allattata a balia, una balia affettuosa, che l’aveva salvata dalla psicosi.
Il disgusto per la pelle della pesca era il disgusto aggressivo per la madre, per la sua mano inerte che reggeva un freddo cucchiaino che non veicolava affetto. Ecco una brevissima parte del materiale: “Non mangio la frutta: l’odio ed il vomito che ho per la frutta evidentemente è lo stesso che ho nei confronti di mia madre! [piange in modo squassante]
Devo averla fatta incazzare come una bestia quando non mangiavo la frutta: evidentemente questo era il mio unico modo di vendicarmi.
a frutta mi fa schifo, mi fa vomitare. Mi fa schifo! Non la riesco a toccare! La consistenza della pesca mi fa schifo, in particolar modo quando mia madre la morde.
Dovrei dire “Mi fa schifo mia madre” non “mi fa schifo la frutta”. Altrimenti perché una persona dovrebbe essere letteralmente disperata solo perché le fa schifo la frutta?”.
Ecco nel passaggio Dovrei dire “Mi fa schifo mia madre” non “mi fa schifo la frutta” c’è tutto il meccanismo di produzione dell’isteria d’angoscia.
Il contatto con la falsa presenza materna produce un’ansia da perdita di contenimento incontrollabile, unita ad una grande aggressività ambivalente, di qui lo spostamento, l’individuazione dell’oggetto fobico e la costruzione della fobia. L‘oggetto fobico provoca cioè angoscia non di per sé, ma in quanto simbolo di qualche altra cosa, rappresenta qualche impulso, desiderio, oggetto interno o parte del sé che il paziente non è stato in grado di elaborare.
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Asse ossessivo-compulsivo ed ortoressia
Sul versante ossessivo, invece, c’è quella sempre più ampia casistica che ultimamente si è proposto di definire “Ortoressia”, non compendiata giustamente nel DSM essendo una versione specializzata del disturbo ossessivo-compulsivo, ma che ha anche ricadute estremamente importanti nel soma portando spessissimo ad una alimentazione carente o fortemente sbilanciata. Purtroppo l’enorme potenzialità morbigena offerta attualmente dal web di veicolare false informazioni spacciate apparentemente come innovazioni cliniche e terapeutiche ha portato ad una crescita esponenziale di quella che definirei una religione del cibo (non a caso l’aggettivo maggiormente usato per giustificare determinate scelte alimentari è “etico”, dopo che per milioni di anni si è solo ragionato in termini di congruità e di salute).
Ortoressia deriva dal greco Orthos (giusto) e Orexis (appetito) e indica l’ossessione psicologica di questi soggetti per ciò che essi ritengono sia il mangiare sano. Chi soffre di ortoressia è infatti controllato da un vero e proprio fanatismo alimentare, una sorta di vissuto di superiorità onnipotente basato sul cibo che lo porta a disprezzare chi non mangia sano.
Secondo i dati diffusi dal Ministero Italiano della Salute per i disturbi alimentari, le persone affette da ortoressia sarebbero 300 mila in Italia (a fronte di tre milioni di pazienti con disturbi alimentari), con una prevalenza maggiore tra gli uomini piuttosto che tra le donne (11.3% vs 3.9%) (Donini e coll. 2004).
Dell’Osso & Coll. nello studio “Historical evolution of the concept of anorexia nervosa and relationships with orthorexia nervosa, autism, and obsessive-compulsive spectrum” del 2016, già suggestivo nel titolo, affermano che “la psicopatologia dei disturbi del comportamento alimentare ha subito modificazioni nel tempo, sotto l’influenza di fattori sociali determinando l’emergenza di nuovi fenotipi”.
Diciamo che il disturbo ossessivo-conpulsivo si adatta ai nuovi modelli sociali, fenomeno del resto già ben conosciuto, per tutt’altro verso, con il drastico calo delle grandi isterie con il progressivo diffondersi della cultura medica.
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Caratteri distintivi dell’ortoressia
– Ruminazione ossessiva sul cibo. I soggetti interessati possono trascorrere più di 3-4 ore al giorno a pensare a quali cibi scegliere, ed alle modalità di preparazione e consumo, pretendendo solo ciò che a loro dire è salutare, a prescindere da qualsiasi valutazione medica e dietologica. Ricordiamo che Freud definiva la nevrosi ossessiva una religione personale, cosa che si attaglia perfettamente alla ortoressia.
– Pianificazione dei pasti con diversi giorni di anticipo, al fine di evitare i cibi ritenuti dannosi (contenenti ad esempio pesticidi residui, conservanti o OGM, oppure ritenuti troppo ricchi di zucchero o sale)
Preparazione del cibo secondo procedure particolari ritenute esenti da rischi per la salute (cottura particolare, utilizzo coatto di un certo tipo di stoviglie).
Appunti psicodinamici
La difesa fobico-ossessiva fu studiata da Freud in una infinità di lavori ma il riferimento all’interazione con gli animali era già ben chiaro nell’interpretazione che il Maestro fece delle zoofobie infantili nelle quali l’analisi così spesso dimostra che l’animale è un sostituto del padre sul quale è stata spostata la paura derivante dal complesso edipico. Per Freud l’uccisione del padre è il nucleo del totemismo e il punto di partenza della formazione delle religioni.
Freud si appoggiò ai lavori di W. Robertson Smith il quale nel lavoro The Religion of the Semites, sostiene che il cosiddetto “pasto totemico” rappresenta una parte essenziale della religione totemistica. Una volta all’anno, l’animale totem, che in ogni altra occasione è considerato sacro, viene ucciso, mangiato e successivamente compianto; a questa solenne cerimonia partecipano tutti i membri del clan. Al lutto faceva seguito una grande festa (L’usanza rimane nella religione cattolica, soprattutto nel centro-sud italia con il cosiddetto “pasto di reconsolo”).
Freud collega a tale fatto l’ipotesi di Darwin che gli uomini vivessero originariamente in orde, ciascuna delle quali si trovava sotto il dominio di un unico maschio, forte, violento e gelosissimo, che rivendicava il possesso esclusivo di tutte le donne, uccidendo ed espellendo dal gruppo i propri figli che riteneva pericolosi rivali. Un giorno però i figli, che si erano riuniti insieme, presero il sopravvento, uccisero il padre – che era al tempo stesso il loro nemico e ideale – e ne divorarono insieme il corpo. Dopo questo crimine nessuno di loro poté assumersi l’eredità paterna, poiché ciascuno lo impediva all’altro. Sotto l’influenza dello scacco subìto e del rimorso per l’azione commessa i figli impararono a tollerarsi a vicenda, si unirono in un clan fraterno retto dai dettami del totemismo, i quali assicuravano che una simile azione non si sarebbe più ripetuta, e rinunciarono di comune accordo al possesso delle donne, a causa delle quali avevano ucciso il padre. Essi potevano ora unirsi soltanto alle donne estranee al clan. È questa per Freud l’origine dell’esogamia e del suo intimo legame col totemismo. Il banchetto totemico rappresentava la solenne commemorazione dell’impresa mostruosa dalla quale era derivato l’umano senso di colpa (o peccato originale), punto di partenza, al tempo stesso, dell’organizzazione sociale, della religione e delNon sfuggirà a nessuno la presenza massiccia nelle tre religioni monoteistiche di tutta una corposa e rigida legislazione (molto attenuata nella religione cristiana, che si è ormai nevrotizzata) riguardo alla consumazione degli alimenti. Dalle mille sfaccettature della casherut ebraica alla macellazione islamica (Az-Zàbh) ai precetti delle quaresime cristiane ora ridotte solo al venerdì santo.
Nel cristianesimo, addirittura, la cerimonia del banchetto totemico sopravvive, lievemente deformata, nel sacramento dell’eucarestia, dove si rappresenta direttamente il conflitto: si mangia il corpo ed il sangue di Gesù/dio/padre senza però poterlo addentare.
Freud definisce la nevrosi ossessiva come la caricatura di una religione privata, e la religione come una specie di nevrosi ossessiva universale. Non può sfuggire dunque un legame diretto tra grandi riti e Leggi collettive e lo strutturarsi di religioni private quali l’ortoressia: le radici profonde di tale condotta vanno ricercate nella presenza inconscia di una irrisolta dinamica sessuo-aggressiva incestuosa. Un altra manifestazione dell’eterno dramma edipico.le restrizioni etiche.
Fonte Psicoanalisi e Scienza