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L’insicurezza della modernità dietro la scorza brillante della bellezza

L’insicurezza della modernità dietro la scorza brillante della bellezza: il mezzo di un corpo socialmente utile, lascia spazio all’ideale di magrezza in sé.

È il tempo di quel rito che risponde al nome di prova costume. Curioso che l’epoca dell’ossessione per il corpo sia pure quella più sedentaria della storia dell’umanità. Eppure è anche l’epoca più sportiva, più atletica, più palestrata.

Si avvicinano –o per alcuni sono già arrivate finalmente- le vacanze estive, le vacanze marine, in cui ci si sveste, abbastanza felicemente, e ci si espone. Si espone il proprio corpo, più o meno scultoreo, più o meno statuario. A questo esame neopagano alcuni si avvicinano con tranquilla sicurezza, altri con un velo di fastidio, quando non di apprensione. È il tempo di quel rito che risponde al nome di prova costume. Curioso che l’epoca dell’ossessione per il corpo sia pure quella più sedentaria della storia dell’umanità. Eppure è anche l’epoca più sportiva, più atletica, più palestrata. I nuovi dei abitano qui, recita la pubblicità di una palestra brianzola. E negli stessi templi, le palestre, bazzicano i nuovi satiri, obesi, gaudenti e anche un po’ vergognosi di se stessi, desiderosi di perdere peso.

La bellezza ci tormenta, non solo in spiaggia. La bellezza rappresenta anche un buon predittore del successo lavorativo. Non basta. L’impatto che la bellezza fisica ha sulla nostra vita è molto potente. Nemmeno i bambini, nemmeno i neonati sfuggono a questa schiavitù. Un neonato giudicato attraente avrà più attenzioni e sarà considerato maggiormente gestibile dai genitori. Anche a scuola, i bei bambini riusciranno a sviluppare un maggior numero di relazioni, gettando le basi di un successo sociale che li accompagnerà per il resto della loro vita (Costa, Corazza, 2006).

È l’effetto alone della bellezza, eterno e immutabile. Nell’antichità gli artisti avevano il compito di riprodurre statue di personaggi come imperatori, condottieri, non in maniera fedele, ma idealizzata e con lo scopo di creare corpi non solo attraenti, ma per suggerire anche elevate doti e virtù morali. È cambiato qualcosa nelle copertine dei periodici in edicola? I nuovi imperatori occhieggiano sempre idealizzati, corporalmente e moralmente.

Cicli che si rinnovano nell’arco dei millenni, dei secoli e dei decenni. Gli anni ’80 sono stati il tempo d’inizio dell’ultimo giro di rinnovato edonismo. Dopo la sbornia idealistica degli anni ’70, improvvisamente l’ideale non fu più rinnovare il mondo ma il guardaroba e, con esso, quello che c’era sotto i vestiti. Un ideale neopagano di bellezza, forza, potere e splendore personale entrò nell’immaginario pubblico e ne prese possesso. Il termine narcisismo risuona spesso nella descrizione di questo tipo di mentalità: l’amore per la bellezza, per l’apparenza e per se stessi. I soggetti con personalità narcisistica possono apparire superbi, arroganti e manifestano un senso di superiorità. In realtà questi soggetti celano un sentimento di inadeguatezza, si sentono indifesi, spesso hanno una sensazione di vuoto interiore e hanno il timore che gli altri possano vederli in questo modo. Dunque dietro la scorza brillante e soddisfatta della propria bellezza corporea, la modernità nasconde un fondo di insicurezza? È possibile. Almeno così dice la scienza psicologica.

Come sappiamo bene, i media hanno dato il loro contributo. Negli ultimi decenni hanno creato un’immagine di bellezza standard, soprattutto per le donne, basata su un ideale corporeo perfetto e magro. Agli uomini, invece, piuttosto che un ideale di magrezza è presentato un modello di corpo snello e muscoloso.

A nostra volta, tutti noi accettiamo supinamente questi ideali. L’eccessiva importanza riservata all’immagine corporea è frutto della convinzione –abbastanza fondata- che per essere socialmente accettati bisogna apparire in forma. Le fasce più giovani sono particolarmente vulnerabili a queste immagini mediatiche. Gli adolescenti sono impegnati in un delicato processo di costruzione della propria identità di genere, in cui il corpo gioca un ruolo importante. La percezione del proprio corpo è strettamente legata all’autostima. Sono infatti proprio le ragazze con una bassa autostima ad essere più colpite dal fenomeno (Kelly e coll., 2005).

Molte adolescenti tendono a ritenere l’ideale di magrezza normativo. Ma non è soltanto un problema degli adolescenti. Tutti noi, anche noi adulti, siamo attratti e intimoriti dal mondo delle relazioni sociali e dell’affermazione di sé. Poco capaci come siamo, nonostante l’età adulta, di accettare e gestire la precarietà e la mobilità della competizione pubblica, andiamo alla ricerca di un parametro quantificabile e controllabile e al tempo stesso carico di valore simbolico. Il peso è un numero, un para¬metro quantificabile. Il peso, poi, rimanda all’aspetto corporeo. E non si tratta affatto di un rimando soltanto simbolico.

Il corpo è uno strumento pratico di relazione sociale tra i più incisivi. Con il nostro corpo, con la sua bellezza, ci presentiamo e ci facciamo accogliere e/o respingere, accettare e giudicare dal mondo. Un bell’aspetto è un buon biglietto da visita. Tuttavia, con l’aspetto corporeo si ricade nell’ambiguo, nel giudizio soggettivo qualitativo e non quantificabile. Cosa definisce una bella presenza, un corpo attraente? È una difficile negoziazione continua con l’altro, che può gradirci o meno e che soprattutto assai raramente esprime giudizi privi di margini di ambiguità.

La sensazione di mancanza di controllo è quindi massima, ed è proprio ciò che temiamo. Di qui la nostra scelta paradossale: il controllo del corpo diventa fine a se stesso, in una corsa autodistruttiva in cui l’obiettivo iniziale, la conquista di uno strumento infallibile per poter essere accettati e piacere agli altri, è presto dimenticato a favore della magrezza, che diventa un valore in sé.

Intendiamoci, mantenere l’autostima a un certo livello è l’obiettivo di ogni essere umano. Si tratta però di un obiettivo non facile, perché la vita pone continuamente davanti a sconfitte e frustrazioni e occasioni che ci fanno dubitare del nostro valore. L’ostacolo si supera a patto di saper relativizzare e contestualizzare gli inevitabili fallimenti. È un’operazione complessa, che riesce probabilmente soltanto se si possiede la capacità di fissare e raggiungere obiettivi personali soddisfacenti e gratificanti che diano senso, significato e scopo alla vita. Alcuni tra noi non hanno questa capacità e finiscono per legare la propria autostima a un parametro meccanicamente controllabile, appunto il controllo del peso e del corpo.

Le preoccupazioni sul peso e la forma del corpo diventano giudizi sul valore personale e di autocontrollo arbitrariamente scelti. Giudizi rozzi, certo, ma facilmente quantificabili. Il problema di noi moderni, e forse anche degli antichi, è proprio l’incapacità di gestire un aspetto così ambiguo e altalenante dell’esistenza come l’amor proprio e l’autostima. È veramente possibile sapere se e quanto valiamo? È veramente possibile nutrire una buona stima di sé, priva di ombre e nonostante gli insuccessi e le delusioni che la scalfiscono? Sì, è possibile, ma non è un’impresa facile.

 

di Giovanni Maria Ruggiero

Articolo pubblicato da Giovanni Maria Ruggiero su Linkiesta Domenica 12 Luglio 2015

Costa M., Corazza L., (2006). Psicologia della bellezza. Firenze: Giunti.

Kelly, A.M., Wall, M., Eisenberg, M.E., Story, M., Neumark-Sztainer, D. (2005). Adolescent girls with high boby satisfaction: who are they and what can they teach us? Journal of Adolescent Health 37 , 391-396


Per saperne di più: www.stateofmind.it