IL NOSTRO CORPO RIFLESSO ALLO SPECCHIO NON È SOLO LA RAPPRESENTAZIONE DI UN’IMMAGINE,
BENSÌ UN PROCESSO MOLTO PIÙ COMPLESSO DI INTEGRAZIONE FRA PERCEZIONE, COGNIZIONI ED EMOZIONI.
La propria immagine corporea e la sua rappresentazione sono il risultato dell’unione e della mediazione di diversi aspetti: la percezione e la stima delle dimensioni del proprio corpo, aspetti affettivi e cognitivi che comprendono sentimenti e preoccupazioni legati al nostro corpo e per ultimo anche aspetti comportamentali.
Paul Schilder (1935) fu colui che coniò il concetto di Immagine corporea definendola come Quel quadro del nostro corpo che formiamo nella nostra mente e come ogni quadro, nel guardarlo, possiamo provare emozioni, possono emergere ricordi e sensazioni.
Da qui la rappresentazione mentale diviene un processo di integrazione e mediazione fra percezioni, cognizioni ed emozioni che possono influire sulla nostra autostima (Posavac & Posavac, 2002).
Ma come si origina l’immagine del nostro corpo?
Quando siamo neonati la percezione che abbiamo del nostro corpo è rappresentata principalmente dalla propriocezione ossia dal sentire il proprio corpo attraverso la contrazione dei muscoli, o dalla sensibilità viscerale oppure dal senso di equilibrio. Il tutto avviene anche senza l’ausilio della vista. Il bambino inizialmente non fa distinzione fra se ed il mondo che lo circonda, questo è un lungo processo che avviene a tappe e che comprende non solo la distinzione fra se ed il mondo esterno ma anche l’integrazione delle parti del proprio corpo in un’unica unità.
A partire dai tre anni di vita il bambino inizia a riconoscere la propria immagine riflessa allo specchio e due anni più tardi capisce che anche le altre persone hanno un corpo simile al suo.
Man mano che si avvicina il periodo dell’adolescenza il corpo va incontro a diversi cambiamenti ed è da qui che molto spesso iniziano le difficoltà nel riconoscersi, per esempio uno sviluppo anticipato rispetto a quello dei coetanei può far si che si diventi fonte di sguardi ed attenzione che non sempre, specie le ragazze, vivono serenamente. La creazione dell’immagine corporea può infatti risentire di fattori sociali ma anche di fattori interni.
L’ambiente in cui stiamo crescendo, l’interazione con i nostri coetanei e anche con i nostri genitori possono condizionare il nostro sviluppo. Si è maggiormente sensibili al giudizio altrui, e si va creando in questo periodo un’ideale del proprio corpo che risente dell’influenza dei mass media ma anche dei confronti con i propri pari. Vi è un continuo paragone fra quello che è il proprio corpo e il corpo ideale, e a seconda della maggiore o minore vulnerabilità al giudizio si andrà formando un’idea di sé più o meno coerente che potrà portare con se maggiore o minore sofferenza.
Il corpo in adolescenza è soggetto a continui e rapidi cambiamenti, l’aumento di peso, lo svilupparsi delle forme, l’acne sono tutte manifestazioni spesso momentanee che possono contribuire ad una maggiore difficoltà nell’accettazione della propria forma fisica. Va da sé che in questa situazione una maggiore vulnerabilità dal punto di vista emotivo e psicologico può far si che si provi un maggiore disagio.
L’immagine e la rappresentazione che l’adolescente si fa della propria fisicità è una complessa strutturazione che risente di fattori sociali ma anche psicologici ed emotivi.
Riportiamo nuovamente le parole di Schilder (1935):
Un’immagine corporea è sempre in qualche misura la somma delle immagini corporee della società… e muta a seconda di colui col quale ci articoliamo
L’insoddisfazione nei confronti della propria forma fisica è assai diffusa sia fra il sesso femminile che fra il sesso maschile, in alcuni casi può però portare alti livelli di sofferenza che possono interferire con la vita dell’individuo.
Le preoccupazioni possono farsi talmente pressanti da portare il soggetto ad effettuare continui Body Checking ossia comportamenti di controllo che vanno dal guardarsi allo specchio molte volte durante la giornata, pesarsi più e più volte al giorno, verificare la perdita di peso e la propria taglia indossando abiti attillati, misurare la circonferenza di cosce, fianchi ed addome, chieder continue rassicurazioni sul proprio aspetto. La persona può impiegare diverse ore per prepararsi prima di uscire, ed evitare di farlo qualora non si fosse raggiunto l’aspetto desiderato.
Coloro che hanno di sé una rappresentazione negativa dedicano molte ore della loro giornata al proprio aspetto fisico e maggiore è l’insoddisfazione maggiore è il tempo impiegato nel controllare e cercare di rimediare ai difetti percepiti.
Per queste persone autostima e aspetto esteriore rappresentano due unità direttamente proporzionali che spesso risultano accompagnate da ansia depressione e forte autosvalutazione.
Un’ immagine corporea negativa implica una forte insoddisfazione per alcuni aspetti del proprio corpo (Cash, 2002) ed è riscontrabile in buona parte dei disturbi del comportamento alimentare oltre che nel disturbo del dismorfismo corporeo (o dismorfofobia). I disturbi legati all’immagine corporea portano con se sintomi specifici: dai comportamenti ripetitivi di evitamento e/o controllo, a pensieri di tipo rimuginativo, alle distorsioni percettive nonchè uno scarso insight della problematica.
La Body Image Modular Therapy rappresenta un tipo di approccio integrativo e specifico per problematiche legate ai disturbi dell’Immagine Corporea, che consente all’individuo di affrontare in maniera mirata ed efficace questa specifica sofferenza.
di Mara Soliani
BIBLIOGRAFIA:
Cash, T.F. (2002) A “Negative Body Image”, Evaluating Epidemiological Evidence, cap. 31, pp.269-276, tratto da Cash, T., Pruzinsky, T. Body Image: a Handbook of Theory, Research, and Clinical Practice. The Guilford Press, New York.
Schilder, P. (1935). The image and appearance of the human body: studies in the constructive energies of the psyche. London: K. Paul, Trench, Trubner & co. ltd.
Posavac, S. S., & Posavac, H. D. (2002). Predictors of women’s concern with body weight: the roles of perceived self-media ideal discrepancies and self-esteem. Eat Disord, 10(2), 153-160.