Standard sempre più difficili da raggiungere in cui occorre essere giovani, magre, toniche. Un ideale di perfezione imposto alle donne dalla società dell’apparire che incentiva insicurezza, senso di inadeguatezza e in alcuni casi anche problemi alimentari. Come uscire da questo circolo vizioso e sentirsi belle senza omologarsi? Ce lo spiega la psicologa che analizza per noi una delle 7 tipiche paure femminili che provocano ansia e impediscono di realizzarsi veramente, descritte dalla psicoterapeuta Michela Rosati nel suo libro La gabbia di carta .
La società dell’apparire ci vuole magre, giovani, levigate, toniche, appetibili, desiderabili. Ovviamente senza difetti, incertezze, macchie, rughe o cicatrici. Una bellezza unica. E ci dice che dobbiamo distinguerci omologandoci, che il nostro corpo non deve trasformarsi nel tempo. Ci indica come dobbiamo essere e come dobbiamo sembrare, qual è l’aspetto da avere. Ci banalizza in un corpo. Atteggiamento al quale, in molti casi, le stesse donne partecipano allegramente.
Veniamo esortate anche a modificarci, manipolarci e ritoccarci pur di essere come dobbiamo apparire. Con interventi di ogni tipo, anche durissimi. Come una fantasia di autocreazione, dobbiamo impegnarci per somigliare all’idea che sogniamo di noi stesse, che in molti casi ha poco di autentico perché ricalcata sui modelli circolanti. Ma che vogliamo seguire a tutti i costi. Come le sorellastre cattive – e guarda caso brutte – con la scarpetta di Cenerentola.
Una pressione socio-culturale serrante alla quale spesso cediamo in modo compulsivo e acritico. Che ci rende incerte, impotenti, insicure. Facendoci sentire inadeguate con gli altri e con noi stesse. A differenza degli uomini, siamo condannate a essere giudicate dal nostro aspetto. La bellezza – intesa come aspetto esteriore – per noi è la prima interpretazione. In questo senso siamo braccate fin da bambine.
Gli standard proposti sono sempre più difficili da raggiungere. È stimato che l’ideale di magrezza attuale è raggiungibile da meno del 5 per cento della popolazione femminile. Studi sull’immagine corporea indicano che le donne sono molto più critiche del loro aspetto rispetto agli uomini, fino a rischiare di averne un’immagine distorta. I dati segnalano sempre più bambine coinvolte in una dieta perché insoddisfatte del loro corpo, una percentuale altissima di ragazze normopeso o sottopeso che desiderano dimagrire, la maggioranza delle donne deluse dalla propria immagine. Insoddisfazioni concentrate sull’aspetto che concorrono a determinare comportamenti alimentari restrittivi, in alcuni casi pericolosi. Dati preoccupanti relativi all’aumento dei disturbi legati al cibo, del resto, coinvolgono una popolazione sempre più ampia e fasce di età via via più precoci, come denuncia l’associazione Dai. La presidente, la psicoanalista Flaminia Cordeschi, afferma che coloro che soffrono di questo tipo di problemi possono presentare, in associazione alla problematica alimentare, un’alterazione della rappresentazione dell’immagine corporea, nel senso di una sovrastima delle dimensioni del corpo nel caso di anoressia e bulimia. Ma alcuni studi dimostrano che la sopravvalutazione delle proprie forme appartiene anche alla maggioranza delle donne normopeso e senza disturbi psicologici clinici, concentrandosi soprattutto su cosce e glutei.
Il must della bellezza passa ovviamente anche attraverso la pubblicità. Che ci indica che bisogna essere belle, ma in modo subdolo rivela stereotipi di genere inquietanti in relazione a questioni più ampie di cultura, identità, potere. Oggi si assiste a campagne “provocatorie” (e spot di prodotti) che esibiscono corpi femminili reali, comuni, volte all’accettazione di come si è senza pregiudizi e insicurezze. Ma dovremmo chiederci perché per noi donne sia necessario spogliarsi per rivendicare il diritto a essere chi siamo, perché siamo destinate a passare per forza dall’immagine del corpo nudo per dire siamo così.
Diete, allenamenti, tiraggi e trattamenti vari. Tentiamo un controllo ossessivo degli aspetti esteriori per la difficoltà di gestire quelli interiori, più profondi. Oppure, all’opposto, molliamo, ci lasciamo andare, ci abbuffiamo e ingrassiamo perché è troppo difficile diventare snelle. Ma scordarsi del corpo o occuparsene ossessivamente sono due aspetti della stessa medaglia.
Dovremmo essere stanche di tutto questo. Siamo donne moderne, abbiamo conquistato indipendenza e autonomia, opportunità e diritti. Ma siamo ancora intrappolate dal mito della bellezza. Fino a quando questo mito sarà uno dei pilastri portanti dell’identità femminile, rimarremo vulnerabili all’approvazione esterna. Non può esserci nessuna bellezza dove ci sono sofferenza, rinuncia, senso di fallimento, rifiuto della propria immagine.
È il momento di renderci consapevoli. E di smettere di stressarci, di fare pace con la nostra immagine. Una femminilità di successo non si basa sulla magrezza e sulla gioventù. La chirurgia estetica non risolve il disagio, forse può invece toglierci il coraggio di essere chi siamo. Una dieta non ci alleggerisce delle nostre difficoltà, solitudini e sofferenze, il cambiamento esteriore non prescinde da quello interiore. Diamo spessore alla nostra individualità, particolarità, a chi siamo e non solo al nostro corpo. Curiamoci, miglioriamoci, sintonizziamoci su cosa sentiamo, diventiamo fiduciose, interessate e seduttive a modo nostro. Costruiamo la nostra bellezza. Facciamoci belle rifiutandoci di aderire a una cultura discriminatoria. Il cambiamento inizia anche da qui.
Fonte: D.it